È rassicurante, di tanto in tanto, vedere che le donne in All Elite Wrestling ci sanno fare. Hikaru Shida e Britt Baker hanno messo in piedi un buonissimo match, dando ritmo e garantendo una rinfrescata in una categoria dove c’è davvero molto poco da salvare. Non che non siano mancati i match godibili, ma sono stati come botte casuali di energia in mezzo a tanto vuoto. Per questo la compagnia deve decidere cosa vuole farci, e ci deve pensare seriamente.

Dentro o fuori? Cioè: continuano ad investirci e portano avanti un progetto, o è meglio lasciar perdere e vivacchiare come è stato fatto finora? Perché se la risposta è la seconda, allora è meglio chiudere tutto. L’impressione è quella che le ragazze stiano lì a far numero, a coprire qualche vuoto o ad esser inserite nelle card giocoforza perché “le abbiamo, è brutto non dar spazio”. Una categoria non deve essere mossa da pietà per farsi dare un po’ di luce, deve essere dotata di una infrastruttura che le permetta di funzionare. Se sono capaci di darglielo: l’unica storyline, quella del Nightmare Collective, è naufragata. La seconda, quella di Britt Baker heel, è in un limbo.

Se invece hanno intenzione di rispondere dentro, devono cambiare un bel po’ di cose. Intanto basta sperimentazioni: va bene vagliare le ragazze delle indy, e magari anche metterle sotto contratto, ma poi vanno utilizzate con costanza. Se non c’è questa opportunità, si eviti di perderci tempo o di dar loro delle vittorie. Stesso discorso per le giapponesi: se non si è in grado di tenerle in America per almeno sei mesi, è inutile puntarci e averle di periodo in periodo. Non garantiscono loro i match che vorrebbero, non garantisce la compagnia delle storyline, non garantisce al pubblico di affezionarsi.

E questo discorso è di sé cruciale. Le giapponesi sono molto brave, ma hanno dimostrato di esserlo soprattutto tra di loro. Alla AEW serve un roster che interagisca spesso e lo faccia con cognizione di causa. Tra le giapponesi e le americane invece il mashup non è quasi mai stato qualitativamente rilevante, anzi ci sono stati diversi problemi di comunicazione. Serve dunque essere un po’ cinici ed eliminare ciò che non va, mettendo da parte amicizie e affettività varie. E si mettano da parte anche gli apprezzamenti: Bea Priestley non è una regular, partecipa una volta ogni tre mesi, non lo fa nemmeno bene. Perderla non sarebbe un problema.

A quel punto decidi su chi puntare. Bastano 7/8 ragazze, divise a piramide: main event, midcard e lowcard. Ci imbastisci sopra dei feud reali, e dei match senza ansia e senza difficoltà di comunicazione. Gli dai uno spazio ben preciso a Dynamite, senza troppe divagazioni in quel di Dark. Diventano un punto focale della card, hanno un modo per farsi ricordare. Senza questi piccoli accorgimenti, diventa un progetto sfumato di cui non c’è bisogno.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.