Era il 1993. Il 10 Marzo del 1993. Quando Adolfo Bresciano, un italiano emigrato in Canada, fu trovato morto, colpito da un arma da fuoco più e più volte nella sua casa di Laval, Quebec. A molti quel nome non direbbe niente, sarebbe soltanto un classico assortimento di un nome ed un cognome di origine italiana come tanti. Perché molti, la maggior parte di coloro che lo conoscevano, erano abituati a sentir parlare nominare un’altra persona, un altro nome, quello di Dino Bravo.

Adolfo infatti, decise di utilizzare quel nome quasi subito, quando mosse i primi passi nel mondo del Wrestling, all’età di 28 anni. Era il 1970. Dominic DeNucci e Pepe DiPasquale, che si faceva chiamare all’epoca Dino, erano i Bravo Brothers. Da questo connubio ecco nascere l’In Ring Name dell’italo canadese: Dino Bravo. Iniziarono con quel nome la sua carriera ed il suo successo, un successo che paradossalmente, purtroppo per lui, non lo fece brillare soltanto nel mondo dello spettacolo e dello sport, ma lo rese anche opaco nella vita vera.

Era nato in Italia nel 1948 Dino Bravo, e si ritrovò in Canada ben presto, quando i suoi genitori deciso di emigrare in cerca di fortuna, una fortuna che tardò ad arrivare, ma che impostò uno schema chiarissimo nella vita del futuro lottatore. Dino Bravo infatti non solo diventò un Professional Wrestler, che ebbe bisogno di quattordici anni prima di arrivare nella World Wrestling Federation, ma sposò anche la nipote di Vic Cotroni, il più importante boss mafioso di Montreal.

Il legame famigliare ed il successo nazionale portarono molte persone non troppo raccomandabili ad avvicinarsi a Bravo, che creava i collegamenti con la cosca ed imparava, piano piano, come poter sfruttare il suo successo a suo vantaggio. Suo “zio” Vic non ci pensò due volte a sfruttare l’occasione insieme a lui, vedendo un’infinità di nuovi canali aperti per guadagnare con i traffici illeciti che riempivano le tasche di quelli come lui a quel tempo.

Uno dei compiti di Dino Bravo, fra un Match di Wrestling è l’altro, era curare il traffico di sigarette, un business per il quale erano necessarie moltissime conoscenze, tanta corruzione ed appoggi dal punto di vista logistico e del trasporto. Dino probabilmente diventò parecchio bravo, e non è un gioco di parole, a conciliare il suo lavoro lecito ed il suo lavoro illecito, decidendo di fare il passo più lungo della gamba e investendo alcuni dei suoi guadagni per ricavare del denaro alle spalle del boss Cotroni.

Intanto diventava nella WWE un simbolo di potenza. Le vignette con lui che sollevava chilogrammi su chilogrammi alla panca imperversavano a Tuesday Night Titans, e il pubblico cominciava ad avere rispetto e stima dell’italiano, che nonostante non fosse una vera e propria cima sul quadrato, impressionava il suscettibile pubblico dell’epoca. Nonostante non sia mai arrivato a vincere nulla di davvero importante infatti, Bravo si tolse comunque qualche soddisfazione, vincendo prima i World Wide Wrestling Federation Tag Team Titles  insieme a Dominic DeNucci, e salendo poi sul tetto del Canada come World Wrestling Federation Canadian Champion, appunto.

Intanto i suoi affari fuori dal Ring continuavano, ma più i guadagni si facevano sostanziosi, più il rischio che correva aumentava. La mafia italiana è una cosa con la quale non si può giocare e ben presto, Bresciano, se ne renderà conto. Anche Ric Martel, suo amico e collega, nonché campione di coppia della AWA insieme a lui, sostenne in diverse interviste che la notorietà e la famiglia alla quale apparteneva, furono un mix letale per Dino Bravo, che si circondò senza rendersene conto di persone pronte a guadagnare sfruttando la sua immagine e le sue conoscenze.

Dino cedette, e tante volte.

Fare la cresta sulle sigarette ed in più lavorare per qualche altra famiglia però, erano uno sgarro imperdonabile per lo zio di sua moglie Vic Cotroni, che firmò senza possibilità di ripensamento la condanna a morte del lottatore.

Lottatore che intanto lavorava costantemente nella WWF di Vince McMahon e che prese parte alle prime edizioni di Wrestlemania, affrontò nomi noti, come Don Muraco, talenti che cercavano di emergere, come David Sammartino, e tanti, tantissimi Match di coppia. Tutto fino a quando la sua carriera nella WWF si interruppe, era il 1992 e Dino Bravo lasciò la compagnia dopo un Tour Europeo. Per lui quella era la parola fine sul Professional Wrestling, nell’ultima contesa combattuta perse in coppia con Colonel Mustafa, contro i Legion of Doom, Hawk ed Animal.

Di li a poco, sarebbe arrivata anche la parola fine per la sua vita.

Aveva quarantaquattro anni, dieci proiettili tra petto e stomaco ed altri sette in testa. Venne trovato cosi, nella sua casa di Laval, in Quebec, quello stato del Canada che lo adottò, lo allevò, lo fece diventare qualcuno ed infine lo portò a perdersi nei circuiti marci di un sistema che lavora sotto pelle, mangiando la carne e consumandoti. E’ la vita di Dino Bravo questo fu, un Rush fino all’osso. Avere tutto per ritrovarsi con niente. Pretendere troppo per ottenere il buio. Se Tolkien ci ha insegnato una cosa, è che il desiderio di onnipotenza è talmente forte da corromperci, portandoci a fare qualsiasi cosa per diventare degli dei, facendoci vivere come se il tempo non passasse e come se non avessimo più nessun conto da regolare con il mondo, consumandoci però dentro, mettendo in evidenza la debolezza più intima del nostro essere, bloccandoci sul più bello, non solo costringendoci a rinunciare all’oro, ma anche alla vita stessa.