Ci sono wrestler che sono formidabili, ma sui quali bisogna stare attenti. Perché a scalare le gerarchie si finisce poi per crescersi troppo grandi rispetto alle reali potenzialità espresse. Bisogna essere in grado di saper guardare in faccia la realtà e a fare un passo indietro, se necessario. Pensate a Tom Lawlor: divenuto campione Strong della NJPW, appena perduto il titolo ha iniziato a scalciare perché non adeguatamente considerato. Poi ha capito. Ha capito che non tutti, nel wrestling, possono essere dei moneymaker. Neanche in un contesto indy.

Pensate allora cosa voglia dire costruire un ppv in cui sono presenti 3 mila persone, che si avvia facilmente verso i 35 mila acquisti. Pensate a Death Before Dishonor, ad un campione che non vuole abdicare, ai litigi nel backstage, ai vari motivi che escono fuori e che non risultano poi quelli per cui si è andati ad attrito. Perché, diciamolo, Jonathan Gresham non ha fatto il diavolo a quattro per mancanza di comunicazione da parte di Tony Khan (o chi per lui). Ma perché da pesce piccolo ha pensato di esser diventato troppo grande.

Partiamo dall’inizio. A fine 2021 la Ring Of Honor è costretta a chiudere temporaneamente. Ha troppi debiti, più spese che incassi. Nell’ultimo show Jay Lethal decide di passare il testimone all’amico Jon Gresham, che così vince il titolo ad interim della compagnia in attesa che Bandido si riprenda da infortuni e covid. In un momento di grossissima incertezza, con una prateria davanti, il neo campione ci sguazza: prende svariati booking, vince cinture in UK, fonda la Terminus, impone le regole per il rilancio della ROH a nome dei pochi rimasti nel roster.

Pensa di esser diventato abbastanza grande da poter essere un fattore. Quando Tony Khan assorbe la ROH, lo rende campione indiscusso. E’ l’apoteosi del suo ego. Dopo tutto non può fare molto il neo proprietario: Bandido non assicura più una presenza costante e Gresham è diventato determinante per tutti. Supercard Of Honor va bene, tutti sono contenti. Ma se la compagnia di Phila vuole fare il passo successivo, ha bisogno di nomi che siano veramente riconoscibili dal pubblico di massa. Va bene essere indy, ma bisogna rilanciarsi un po’. In maniera seria.

Gresham è un ottimo wrestler tecnico. Uno dei pochi al mondo a saper lottare in maniera “pura” senza sbavature, rendendo felici i fan del genere. Ma ha due difetti, uno non voluto e uno sul quale può lavorare: è basso ed ha il carisma di un comodino. Purtroppo il wrestling è fatto di canoni ben precisi, e se sul primo non ha assolutamente alcuna colpa, sul secondo qualcosa di più si poteva fare. I fan lo riconoscono con un ottimo wrestler, ma non come un main eventer e men che meno come un pezzo grosso del wrestling mondiale.

Gresham ha iniziato a sentirsi così: un pesce grosso. Molto grosso. Quando si è ritrovato davanti a Tony ha sciorinato le sue motivazioni: non poteva perdere contro Claudio Castagnoli perché il Pro Wrestling Illustrated lo aveva messo al ventesimo posto tra i wrestler e dunque era in grado di sapersi caricare una compagnia sulle spalle. Come se tutti non sapessero che quella classifica si basa sulle vittorie e le sconfitte di un anno solare e non ha una valenza smart sui tifosi.

Voi direte: Castagnoli non è che sia questo campione di carisma. Ma ha dalla sua una visibilità superiore, un fisico più adatto per essere un campione riconoscibile e riconosciuto, e una esperienza in giro per le indy e in WWE che di fatto lo rendono un leader di uno spogliatoio, senza se e senza ma. Bonucci direbbe che Gresham ne deve mangiare ancora parecchia di pastasciutta prima di poter arrivare al livello dello svizzero. E infatti i numeri dicono questo: i fan hanno guardato Death Before Dishonor aspettandosi Claudio campione e con percentuali bulgare gli stessi sono rimasti soddisfatti della decisione.

Gresham ha voluto sbattere i piedi e reso meno interessante quel match. Un peccato, c’erano tutti i presupposti perché venisse ricordato e anche lui ci facesse una bella figura. Ha chiesto il licenziamento, ha preso a offrirsi a chiunque. Ha costretto la Progress ad inserirlo, nello show di ritiro di Ric Flair, in un match in cui non era previsto e a regalargli una title shot che nessuno gli doveva. Ha subìto due di picche ovunque, ha chiuso la Terminus ufficialmente per un capriccio, senza dire che è stata un fallimento sia nella qualità che nei numeri.

Non so che fine farà Gresham. Credo però che ogni wrestler debba sapersi costruire un proprio spazio nel wrestling facendo i conti con se stesso, con le proprie qualità (reali e mancanti) e con quello che i tifosi richiedono. E un atteggiamento come il suo non gli ha giovato. Sarebbe un peccato se questo pestare i piedi possa levare dal wrestling un atleta che, alla fine, diverrà solo un rimpianto.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.